Strumento così semplice ed essenziale, infatti, la bici
fissa obbliga a scendere di sella nelle ripide salite e discese. E’ costretto a
farlo anche lui, sebbene più giovane e allenato di me. Ma scendere di sella,
per noi ciclisti dello scattofisso, non rappresenta un’ignominia e tantomeno
una ferita d’orgoglio. Condurre la nostra bici per mano è un po’ , credo, come per
un generoso cavaliere scendere dal proprio destriero troppo affaticato. Fargli
strada conducendolo d’innanzi per le redini, e infondendogli coraggio e fiducia
affinché non si perda d’animo. Affinché non si aggravi la sua debolezza fisica e
psicologica. Secondo Alfredo, il mio valoroso prodromo, il mio amico solitario,
“il cavallo è un servo, al quale bisogna
usare dei riguardi, perché è impossibile non amarlo: la bicicletta invece è una
scarpa, un pattino, siete voi stessi, è il vostro piede diventato ruota, è la
vostra pelle cangiata in gomma, che scivola sul terreno allungando il vostro
passo da settantacinque centimetri ad otto metri, cosicché ogni chilometro non
è mai più lungo di due minuti”. [Alfredo Oriani, La bicicletta, Longo, Ravenna, 2002, p. 48]
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