Bisogna tenere presente che “una tipica bicicletta dell'epoca era a scatto fisso (senza cambi di rapporto né ruota libera), aveva un telaio d'acciaio, il manubrio leggermente ribassato, una sella in pelle e in genere era priva di freni (per frenare si doveva pedalare all'indietro). Le bici da strada pesavano di solito una quindicina di chili, quelle da corsa meno di dieci, che è più o meno il peso delle migliori biciclette da corsa su strada dei nostri giorni” (1). Quasi certamente Alfredo compie il suo viaggio – stando a quanto racconta – con un pignone sulla ruota posteriore che gli consente un rapporto che definisce di 2,30. Peraltro se ne pente amaramente quando deve affrontare le terribili pendenze dei passi Carnaio e Mandrioli. Ma ci giungeremo a tempo debito. Torniamo alla moltiplica. Intendo dare per corretto il seguente postulato. Con acume ed esperienza, seppure con una labile dose di certezza, credo temperata dalla modestia, ecco cosa ha evinto Ennio: “Non giurerei d’aver interpretato correttamente, ma non vedo altra possibilità, né ho trovato lumi nella letteratura sulla bicicletta: sarò grato a chi vorrà correggermi. Se così va inteso quel dato, si potrebbe inferirne che lo sviluppo era all’incirca equivalente a quello di un nostro 39x17: non proprio una bazzecola, in salita, su strada sterrata, con una bici di 14 chili, con gomme notevolmente più grosse delle nostre. – E conclude forse un po’ impietosamente – Per un ciclista âgé e privo di vero e proprio allenamento, oltre al resto”.
Questo significa, stando alle tabelle dello sviluppo metrico dei rapporti, che col suo 39x17 Alfredo riesce, in piano, a sviluppare 4,9 metri ogni pedalata.
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1. Robert
Penn, Ciò che conta è la bicicletta. La ricerca della felicità su due ruote, Ponte alle Grazie, Milano, 2012, p. 11
2. Ennio Dirani, Prefazione, in Alfredo Oriani, op. cit., pp. 27-28
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